Un’oasi per la fede

Dopo quattro giorni di Comunità e di servizio negli Esercizi Spirituali di S. Ignazio ho scritto qualcosa per il Bollettino parrocchiale, che condivido…

«Ho imparato tante cose che mi aprono strade più larghe alla fede. So che ci sono e vado a casa più felice» confida Mirella durante la revisione. Le fa eco Gianna: «Un altro tassello che si è inserito nella mia ricerca interiore». O don Luca, ogni giorno 200 km di auto per stare vicino alle sue parrocchiane di Monale d’Asti, che confessa di essere venuto volentieri per «un bel clima, un’atmosfera d’armonia segno dell’azione dello Spirito, nonostante provenienze, storie, età diverse».
Li chiamiamo “Esercizi Spirituali“, facendo tesoro della tradizione della Chiesa, che torna nelle pratiche più antiche ma sempre attuali: il silenzio di meditazione, la preghiera mariana dell’Angelus o del Rosario, la liturgia delle ore (Lodi, Vespri, Compieta), l’Adorazione e la Benedizione Eucaristica… amplificate dall’esperienza di comunità, dalla forza del gruppo, dalla gioia dello stare insieme.
«Quest’anno ho toccato con mano l’arricchimento delle persone, che si sono espresse nei modi più vari, anche col silenzio» testimonia Bruna. E cita, ringraziando, i tanti che le hanno offerto qualcosa d’importante, con la voce, lo sguardo o semplicemente un sorriso: nei momenti di riflessione in gruppo, di intervallo, di passeggiata, di pasto insieme. Valentina si porta dietro l’immagine del Padre nostro recitato in cerchio attorno all’altare, al centro del Santuario, a confermare l’idea della Chiesa che è un corpo solo con a capo Gesù.
Proprio l’Eucarestia è il tema del percorso, grazie alla guida di don Marcello che ha lavorato a lungo per preparare le dispense delle meditazioni, e riconosce di aver scoperto cose nuove dopo tanti anni di sacerdozio: «La Messa è come una Ferrari, ma io andavo e facevo andare le persone a 30 all’ora…». E così ha condiviso il valore immenso dell’Eucarestia che è «cuore della fede e della Chiesa», perché Gesù ci mette se stesso fra le mani e si fa cibo per trasformarci in Lui: morti al peccato, risorti a vita nuova, capaci di amare e servire l’umanità. Un invito accorato ad essere protagonisti del Sacramento, insieme al sacerdote, perché è l’Eucarestia che «fa crescere la Chiesa “in intensità”, qualitativamente; come il lievito per la pasta la fa fermentare e “sollevarsi”».
Un bel tesoro che ci si porta a casa, una carica di serenità e di slancio per i nuovi impegni, perché la Chiesa realizza la sua missione quando è «in uscita», come ripete spesso papa Francesco.
Gli Esercizi Spirituali sono stati un bel dono per la cinquantina di persone che vi ha partecipato, anche solo per una giornata, ma sono stati soprattutto la conferma che la Comunità cristiana è VIVA e testimonia ancora oggi al mondo la ricchezza della preghiera, dell’ascolto della Parola e della presenza dello Spirito.
Un grande grazie va riconosciuto ai tanti che si sono messi a servizio nell’organizzazione pratica, a partire da Mariuccia, vera “anima” di questa occasione di crescita nella fede. Guardando la sua vitalità, l’entusiasmo e la precisione che mette nel costruire questa occasione di crescita nella fede, da tanti anni, ci sembra che l’eredità dei cristiani che sono passati da S. Ignazio sia in buone mani, e che lei, da buona maestra, stia accompagnando generazioni di persone a lasciarsi interpellare da Dio. E abbiamo l’impressione che le immagini dei Santi e dei Beati che campeggiano al fondo del Salone ci sorridano, come fanno certamente nel loro Paradiso. (P.R.)

Cooperativa di comunità, per salvarsi dalla crisi

Cooperare per cambiare”: all’insegna di questo slogan strategico un piccolo borgo dell’Appennino reggiano, Succiso di Ramiseto, si è salvato dallo spopolamento e dai conseguenti disagi. È stato messo a punto un modello di “cooperativa di comunità”, al quale possono guardare con curiosa fiducia quel 65% degli italiani che vive nei piccoli centri: un modello che si sta imponendo anche all’attenzione di economisti vicini (come Stefano Zamagni, dell’ateneo di Bologna) e lontanissimi: in Giappone è da poco uscito un libro di Naonori Tsuda, docente di economia all’università St. Andrews di Osaka, sulla cooperazione nell’Appennino reggiano (“Cooperative economy in sociale change, a solidarity system”). Il professor Tsuda si occupa da anni di ricerca nel settore del no-profit e più volte si è affacciato, con la sua assistente Minae Okada, tra le case di questo piccolo borgo emiliano a quota mille metri sul livello del mare (65 abitanti d’inverno, 500 d’estate, negli anni Cinquanta ci vivevano 1.000 persone e 4.000 pecore) per studiare una formula ideale per le zone disagiate delle nostre montagne e non solo.
Eravamo nove amici al bar”, mi racconta Dario Torri, geometra, presidente della cooperativa Valle dei Cavalieri, nome poetico che affonda nella storia di queste terre un tempo dominate da Matilde di Canossa. “In nove, nel 1991, puntammo su una scommessa: creare una cooperativa di comunità (il nome lo dobbiamo all’attuale ministro del Lavoro Giuliano Poletti), bipartisan, associata sia alla rossa Legacoop che alla bianca Confcooperative per ridurre disagi e crisi. Tutti volontari, ciascuno di noi aveva il suo mestiere. Oggi siamo in 33. Abbiamo cominciato aprendo un bar, poi è arrivato il negozio di alimentari, nel ’94 il ristorante dall’ottima cucina locale, nel ’98 abbiamo iniziato, grazie all’allevamento di ovini, la produzione di pecorino, 60 quintali l’anno, e di ricotta”.
Il pastore-casaro è Joan Dobrica, viene dalla Romania con la moglie Piera, hanno un bimbo, l’unico di Succiso: Resvan, di tre anni. Il pizzaiolo Alvaro fa anche l’autista di scuolabus e garantisce pure il trasporto di provviste e delle medicine, visto che la farmacia più vicina è a venti chilometri. E lui stesso, Dario Torri, geometra ed ex presidente della Pro Loco, fa anche qualcosa di più: misura la pressione e fa iniezioni, merito della pratica nel Soccorso alpino (una necessità, visto che il dottore arriva una volta la settimana, per le emergenze qui si va in elicottero). Il suo quasi omonimo Oreste Torri fa il consulente assicurativo e lavora a Reggio, ma la residenza l’ha mantenuta orgogliosamente a Succiso.
Nel 2003 l’agriturismo è diventato anche albergo, con venti posti letto. È stata creata una sala convegni, un campo per le attività sportive in sintetico, un gruppo per la manutenzione del territorio e la gestione del centro visita del parco dell’Appennino tosco-emiliano, attività quest’ultima che ha apportato un importante introito economico. L’ultima sfida? Un piccolo centro benessere con bagno turco e idromassaggio. Così sono stati garantiti servizi per la comunità locale e ci si è aperti al turismo scolastico e familiare con il binomio neve e natura, seducente per chi vuole scoprire con passeggiate e guide le meraviglie sconosciute dell’Appennino.
Le cooperativa di comunità, previste nella riforma del terzo settore (legge che dovrebbe passare nell’autunno prossimo), si basano sull’associazione volontaria da parte delle persone e sulla proprietà in comune, in modo da sopperire alla mancanza di servizi e a creare percorsi economici virtuosi che creano occupazione all’interno della comunità stessa.
“Sono innegabili gli effetti positivi sulla qualità della vita dei cittadini, che rafforzano i loro legami sociali trovando soluzioni efficaci a problemi comuni e risparmiando: per esempio, per comprare molti prodotti riusciamo a evitare due-tre passaggi nella filiera di acquisti, arrivando a risparmiare mediamente il 20% sulla spesa”, precisa Torri.
Tra economia e civiltà, in questo paese kibbutz si intravvede il futuro di un Appennino vivo. (Salvatore Giannella, Corriere della sera, 13/8)

Dicesi Piedibus

Al posto di ruote e lamiere, i giubbotti fosforescenti. Al posto dello smog, scarpe comode e sorrisi. L’alternativa al trasporto scolastico motorizzato, in Italia, esiste già da qualche anno. Si chiama Piedibus, è nato a Padova nel 2003 e il nome dice tutto: è una sorta di serpentone di alunni che raggiungono la scuola in comitiva, accompagnati da uno o più adulti, rigorosamente a piedi. un modello che cammina, per ora, in una manciata di città diffuse da Nord a Sud in una quindicina di regioni: soprattutto piccoli centri di provincia, dove il traffico e le distanze aiutano, ma anche città più grandi come Torino, tutte collegate anche grazie al sito web http://www.piedibus.it.
“Per una città come la nostra il Piedibus è solo una delle tante iniziative da mettere in atto per una mobilità scolastica alternativa”, spiega l’assessore Pellerino. “A Torino noi abbiamo da tempo coinvolto famiglie e scuole per pianificare da capo il sistema. il dato confortante è che, dai circa settemila questionari distribuiti, emerge che già il 63 per cento dei ragazzi va già a scuola a piedi”. Il modello del Piedibus intanto cresce, proprio perché ad apprezzarlo sono prima di tutto i diretti interessati. “I bambini si divertono: non è solo un modo salutare di andare a scuola, ma anche un momento di socialità”. A spiegarlo è Isabella Christina Felline, che quattro anni fa ha creato, da madre e privata cittadina, il Piedibus di Montefiascone, in provincia di Viterbo. In alcuni casi, i Piedibus sono promossi da Comuni e assessori amici dell’ecologia. In altri, sono le famiglie a istituirli in modo autonomo. “E’ il caso di Montefiascone – spiega la fondatrice -. All’inizio, nel 2009, eravamo sei famiglie. Oggi siamo una ventina ed è bello anche per noi genitori. Il servizio è gratuito e solidale e mamme e papà sono in prima linea come accompagnatori, secondo dei turni che vengono fatti ogni settimana e vengono incontro alle esigenze lavorative di ognuno. E non è mai un peso, anzi: il sabato, quando molti non lavorano, i genitori quasi litigano per avere il turno”. Il percorso per i venti alunni, tutti bimbi dalla prima alla quinta elementare, è di due chilometri dal capolinea alla scuola. Non mancano fuori programma gustosi. “Per coincidenza, il tragitto passa sotto casa della maestra di inglese, che – quando è a casa – veste i panni della Candy Princess, distribuisce caramelle a tutta la comitiva e crea scenette molto divertenti – ed educative – tutte in inglese, ovviamente” (Stefano Rizzato, La Stampa 12/3)

Un condominio “speciale”

Preparando il prossimo giornalino per l’Associazione VO.L’A. onlus sono venuto in possesso di questa bella testimonianza. Le Buone Notizie sono anche quelle di un condominio dove ci si sente un po’ comunità! Leggete un po’…

Il condominio in cui vivo è davvero speciale. Aldo ed io siamo stati i primi ad abitare il nostro edificio appena costruito; poco per volta sono arrivate le altre dieci famiglie più un odontoiatra che ha aperto qui il suo studio. Man mano che gli alloggi venivano occupati, abbiamo accolto singolarmente tutti presentandoci ed offrendo la nostra disponibilità per un eventuale aiuto (almeno il caffè era comunque garantito).
Il nostro piccolo gesto ha sortito un risultato eccezionale: con il tempo si è creata un’amicizia profonda tra noi tutti. Chiunque, secondo i propri talenti personali, è aperto al contatto umano e alla collaborazione. Ormai ognuno di noi conosce gli altri, seppure distribuiti su sei piani. Non tutti i giorni possiamo vederci, ma ad ogni incontro è una gioia. Ignoriamo quindi le difficoltà di quei condomìni in cui non si familiarizza e ci si trova in imbarazzo ad ogni occasionale incontro in ascensore. Nell’assemblea condominiale le opinioni diverse non creano mai litigi o antipatie. Tutto si discute con il buon senso e il desiderio di far prevalere l’interesse comune; così le riunioni sono quasi sempre molto rapide. Aldo è l’interprete delle esigenze tecniche presso l’amministratore: vaglia le istanze, le discute con i più diretti interessati; risolve in prima persona, insieme ad altri volenterosi, tutto ciò che è possibile e trasferisce all’amministratore ciò che invece richiede un suo intervento o una discussione in assemblea. Quanti problemi sono stati superati con un incontro informale tra i “magnifici 12” nell’androne di casa all’ora concordata per una durata massima di 20 minuti! Aldo è diventato ormai un esperto in normativa condominiale: si tiene sempre aggiornato, offre gratuitamente la sua professionalità.
Quanto a me, io sono per così dire l’addetta alle pubbliche relazioni (e spesso anche a quelle private). Sono quella che scrive i messaggi di interesse generale, che organizza le iniziative comuni, che dialoga con i singoli sui temi più disparati e talvolta sono anche quella sulla cui spalla piangere in situazioni di particolare difficoltà. Per contro ricevo il contraccambio in affetto e simpatia con generosi interessi. Non è una meraviglia?
In occasione del Natale, poi, ci raduniamo tutti in una pizzeria (compresi il dentista e la sua famiglia, quando ne hanno la possibilità) per scambiarci gli auguri e mangiare insieme discorrendo amenamente. Persino i neonati fanno parte della nostra comitiva. Io cerco di confrontare le esigenze e predisporre l’incontro, e forse più di ogni altro provo una grande soddisfazione quando siamo così riuniti in allegria. I gestori del locale ormai ci riconoscono perché sono stupiti di un tale affiatamento in un condominio. Non avrei mai pensato ad un esito tanto straordinario. Forse siamo stati fortunati nel trovarci a convivere con persone particolarmente disponibili o forse siamo riusciti a cogliere il meglio di ciascuno. Direi che sono vere entrambe le cose.
Certo è che non cambierei questo condominio con nessun altro e sono davvero grata al destino che mi ha offerto una così bella opportunità. (Daniela Lisciani)